Skip to content

Comunicazione di genere – 1a puntata: un gioco sul potere. 

comunicazione-di-genere

Spoiler: tutta la comunicazione è di genere. Esserne consapevole può aiutarti a comunicare meglio e a più persone. Contribuendo anche a combattere le disuguaglianze di genere.

Il modo in cui usiamo la lingua è la cartina di tornasole di retaggi culturali e forme mentali di cui spesso non siamo neanche consapevoli, che applichiamo in modo automatico. In questo automatismo può capitarci di riprodurre dinamiche di potere. Ad esempio, il potere di un genere, quello maschile, di esistere nelle parole, e di essere addirittura considerato neutro e universale. E la contropartita lo sai qual è? Che il genere femminile, e tutti gli altri generi, rimangono invisibili.
Quello che non esiste nella lingua non è spesso neanche pensabile. 

Proprio per questo è importante fare comunicazione di genere in modo consapevole e responsabile. 

Questa è la prima puntata di un percorso di riflessione sulla comunicazione di genere. E vorremmo iniziare a rifletterci insieme proponendoti un gioco. Pensa alla prima immagine che ti viene in mente quando diciamo:

Avvocato.

Badante.

Maestra.

Presidente. 

Noti anche tu che, nella prima e nell’ultima professione, probabilmente hai visualizzato un uomo e in quelle centrali una donna? 

Credi che si tratti solo di grammatica? Noi pensiamo di no. Probabilmente la tua visualizzazione dipende anche dall’uso della lingua e soprattutto da una cosa che non nasce (solo) dalla lingua ma che ne spiega tanti aspetti: il potere.

“Avvocato” è un sostantivo maschile singolare. Quindi è corretto pensare a un uomo che di professione fa l’avvocato. Molto spesso però questo termine, declinato al maschile, è usato socialmente come termine generale per includere anche le donne che svolgono la stessa professione. La parola giusta sarebbe “avvocata” (se hai una formazione cattolica forse ricordi l’espressione “avvocata nostra” nella preghiera “Salve Regina”), ma c’è molta resistenza ad utilizzarla, tra gli uomini e a volte anche tra le donne, che temono che l’utilizzo della forma femminile del termine tolga prestigio alla professione. Questo timore non è da sottovalutare: purtroppo è vero che nella realtà sociale molti mestieri svolti storicamente dalle donne hanno meno prestigio e che i mestieri con più potere sono stati per secoli esclusivo appannaggio degli uomini.

Questo ci porta direttamente alla seconda parola che probabilmente hai visualizzato al maschile, “Presidente”. Si tratta di una parola ambigenere: va bene per le donne, per gli uomini e anche per le persone non binarie. Senza contesto discorsivo e senza altri elementi grammaticali, come ad esempio l’articolo, è impossibile sapere il genere della persona a cui è riferita. E allora perché hai visualizzato un uomo? Perché nell’esperienza comune la maggior parte delle persone che rivestono cariche da presidente sono uomini. Ad esempio, fino ad oggi (probabilmente fino al 21 ottobre, sic!) in Italia nessuna donna ha mai ricoperto la carica di Presidente del Consiglio. Così come nessuna donna è mai stata Presidente degli Stati Uniti d’America. E il motivo è sempre il potere: le donne sono state, e sono ancora in larga parte, escluse dai luoghi dove si esercita il potere, politico, economico, mediatico che sia. Al contrario, le donne sono sempre state, e sono ancora, quasi la maggioranza delle persone che svolgono lavori di cura (o percepiti come tali). Come, ad esempio, la maestra o la badante. 

“Maestra” è una parola al femminile, quindi è ovvio che tu abbia visualizzato una donna. Ed è un termine che viene da sempre e senza problemi usato al femminile. Nessunə direbbe mai che suona male (come invece succede a ministra), perché la maggior parte delle persone ha avuto una maestra alle scuole elementari e ritiene “normale” che quel mestiere sia svolto da una donna. Anzi, forse può essere percepito come strano trovare un uomo che insegna alle scuole primarie. C’è anche chi pensa che fare la maestra sia proprio un lavoro “da donne”, secondo quello stereotipo per cui le donne sono più portate a prendersi cura delle persone piccole (e addio alla professionalità della pedagogia). Se viriamo il termine al maschile il significato sociale non è esattamente lo stesso. Pensaci un attimo. E poi prova a vedere se, nei lemmi del dizionario Sabatini Coletti, trovi le differenze tra maestra e maestro. Quello che emerge, non solo da queste differenze nei lemmi ma dalla percezione sociale del termine, è che “maestro” abbia un’accezione di maggiore prestigio sociale: il “maestro” è un maestro di vita, un uomo che ha segnato la nostra formazione in modo fondamentale, che ha modificato per sempre le nostre vite. 

maestra maestro

“Badante” (che ha connotazioni razziste e sarebbe preferibile sostituire con “assistente familiare”) ti avrà fatto pensare non solo a una donna, ma molto probabilmente a una donna dell’Est Europa. Ma la parola in sé, anche in questo caso, non ha genere, può essere riferita sia a un uomo che a una donna (e a qualsiasi altra identità di genere). 

Nessuna comunicazione è neutra: qualsiasi parola, abbinamento di parole, tono di voce, immagine, grafica è una scelta politica e produce significati e percezioni precise, anche dal punto di vista di genere. Tenerlo sempre a mente, e usare la creatività per dare visibilità alle donne e a tutte le persone che, anche nella lingua, subiscono discriminazioni e violenze, ecco per noi questo significa comunicazione di genere.

Insomma il linguaggio fa la differenza, come nella campagna che abbiamo realizzato per la Città Metropolitana di Bologna qualche tempo fa.

Per oggi ci fermiamo qui, nella prossima puntata ti proporremo una definizione, qualche cenno storico e soprattutto dei consigli pratici.

Vuoi una consulenza sulla tua comunicazione di genere? Scrivici, troveremo delle idee insieme.